Il mercato e le leggi

Se non ci saranno stop dell’antitrust alle fusioni, lo scenario prossimo futuro potrebbe vedere tre sole aziende con in mano oltre il 60% del mercato delle sementi globale.

 

Tre aziende che potranno stabilire prezzi e varietà in commercio e che già hanno un enorme potere di lobby nei confronti dei legislatori, in Europa come nel mondo, soprattutto nei paesi dove la sicurezza alimentare è ancora poco garantita, come il continente africano.

Se l’antitrust dice "SI"

Lo scenario che si intravede è dunque quello di un mercato delle sementi controllato, per ben più del 60%, da sole tre aziende. Che stabiliscono prezzi e varietà in commercio.
E che hanno un enorme potere di lobby nei confronti dei legislatori, in Europa come nel resto del mondo, soprattutto nei paesi dove la sicurezza alimentare è ancora poco garantita, come in tutto il continente africano.

Phil Howard, socio-economista della Michigan State University (Stati Uniti), da anni studia la concentrazione del mercato sementiero. Raggiunto via Skype, l’autore di “Concentration and power in the food system” (Bloomsbury, 2016), ci ricorda che «i semi sono stati open access, un bene comune, per millenni: sviluppati e migliorati grazie agli sforzi di innumerevoli generazioni di persone». I dati che ha raccolto, integrati da noi e visualizzati qui di seguito, dimostrano che il mercato ha vissuto momenti molto frenetici, con ondate di fusioni seguiti da periodi di relativa calma. Un andamento che segue l’approvazione di leggi e trattati che regolano il settore.

 

Tra le conseguenze più preoccupanti, Howard menziona la riduzione della diversità in campo. Per fare un solo esempio, l’azienda Seminis ha abbandonato 2500 varietà di frutta e verdura, più di un terzo del proprio catalogo, quando è stata acquisita da Monsanto.

Eppure, che la diversità sia la chiave per la sopravvivenza è noto a tutti da molto tempo. Le grandi monocolture sono redditizie e molto produttive quando sostenute da impianti di irrigazione, ampio uso di fertilizzanti e di pesticidi, meccanizzazione spinta. Una realtà molto lontana da quella del 90% dei piccoli agricoltori che, secondo la FAO, producono oggi più dell’80% del cibo consumato al mondo. E che hanno certamente bisogno di innovare ma senza doversi necessariamente convertire a una agricoltura esclusivamente di stampo industriale.

Solo qualche decennio fa era assolutamente normale per gli agricoltori produrre e vendere i propri semi. Lo scambio delle sementi è stato uno degli ingredienti chiave dello sviluppo agricolo per secoli. Ma con l’industrializzazione dell’agricoltura le aziende si sono specializzate, le istituzioni pubbliche hanno ridotto il loro impegno nella ricerca a favore di investimenti privati. E le leggi hanno finito per favorire queste specializzazioni, come vediamo nella timeline che le riassume.

 

20 anni di fusioni e acquisizioni

Negli ultimi 20 anni il mercato sementiero è stato animato da diverse ondate di fusioni e acquisizioni tra aziende. La visualizzazione interattiva mostra l’andamento del mercato in un campione di oltre 300 aziende (multinazionali con quote rilevanti e numerose aziende locali). Dal 1996 al 2016 il processo di concentrazione è sempre più evidente. Un processo favorito da un quadro legislativo che tutela sempre più la proprietà intellettuale e sempre meno gli agricoltori che vendono varietà locali e tradizionali.
(Fonte dati: Phil Howard, MSU; Bloomberg.com; Europarl.europa.eu; ETCGroup; i siti web delle singole aziende sementiere, come monsanto.com, syngenta.com, etc). Puoi vedere i cambiamenti anno per anno cliccando sulle frecce ai lati della visualizzazione o l’animazione completa usando il tasto play qui sotto.
Scenario possibile se non ci saranno stop dell'antitrust.

Watch 20 years of seed markets aquisition

Il titolo della timeline

1966 1971 1976 1981 1986 1991 1996 2001 2006 2011 2016

Europa

1966

Approvazione di due direttive europee che stabiliscono per la prima volta la necessità di registrare le sementi dei cereali e delle foraggere in appositi cataloghi nazionali per poterle vendere sul mercato.

1998

Approvata la prima direttiva UE che introduce la definizione di “varietà da conservazione”, che rischiano di essere perdute e che attualmente sono conservate nelle collezioni pubbliche o direttamente dagli agricoltori nell’ambito di sistemi informali e locali.

2008

Approvazione di una serie di direttive UE e di leggi nazionali che regolano la registrazione, conservazione e commercializzazione delle varietà da conservazione. Il panorama rimane però frammentato, molto eterogeneo e poco chiaro.

Sud Africa

1976

Approvazione dei Plant Breeders’ Right Act e Plant Improvement Act che prevedono la registrazione delle nuove varietà vegetali, i requisiti per la commercializzazione e per la tutela dei produttori.

2011

Aggiornamento del Plant Breeders’ Right Act che rafforza i diritti di proprietà intellettuale.

2016

In discussione dal 2012 una modifica del Plant Improvement Act che potrebbe includere un emendamento per gli agricoltori e i produttori che lavorano su piccola scala e con varietà tradizionali non protette da brevetto.

Mondo

1991

Revisione e aggiornamento del testo della Convenzione internazionale per la protezione delle nuove varietà di piante (UPOV, nata a Ginevra nel 1961) che concede un diritto di proprietà intellettuale ai costitutori e riduce il privilegio dell’agricoltore, cioè il riutilizzo in azienda di sementi protette. UPOV stabilisce che le varietà protette devono essere nuove, distinte, uniformi e stabili (DUS).
Da qui in poi, si accelera il processo di privatizzazione delle varietà, utilizzando il brevetto industriale a tutela dell’innovazione. Si diffondono le colture transgeniche e high tech e si verifica la prima ondata di fusioni importanti che danno vita ai colossi agrochimici di oggi.

2015

ARIPO, Organizzazione regionale africana per la protezione della proprietà intellettuale delle varietà di piante, adotta il protocollo di Arusha modellato su UPOV 1991, in presenza di una rappresentanza dell’agenzia europea per le varietà vegetali.

«I semi sono stati open access, un bene comune, per millenni: sviluppati e migliorati grazie agli sforzi di innumerevoli generazioni di persone»

Phil Howard

 

Un sistema legislativo complesso, dunque, che non soddisfa appieno nemmeno le aziende sementiere. A Bruxelles siamo andati a parlare con Szonja Csorgo, avvocato ungherese che dirige la sezione dedicata alla proprietà intellettuale e alle questioni legali della European Seed Association (ESA), organizzazione europea delle aziende sementiere tra le più importanti. Ad ESA aderiscono 70 grandi aziende e 35 associazioni nazionali che a loro volta riuniscono molte ditte come l’italiana Assosementi con i suoi 167 membri.

La spinta a una sistemazione organica dell’apparato normativo, con uno spazio di garanzia anche per le piccole realtà che impiegano varietà tradizionali, si è arenata nel 2013 assieme alla discussione parlamentare, per l’incapacità di trovare una formula che accontentasse tutti. E il nuovo Parlamento europeo non sembra avere in agenda alcuna riforma, per il momento. Anche se pressioni e richieste per una modifica arrivano da più parti.

La Red de Semillas spagnola, per esempio, ha da tempo in atto una campagna per una legislazione più favorevole all’uso delle varietà locali. «In Europa c’è uno spazio per vendere semi di varietà locali, all’interno del registro delle varietà da conservazione» ci spiega Maria Carrascosa, agronoma e coordinatrice della sezione andalusa della rete, un’associazione di agricoltori e consumatori interessati allo sviluppo di filiere locali. «Tuttavia manca una politica integrata, coerente e partecipativa, che dovrebbe valorizzare le varietà locali, la loro conservazione, riproduzione e vendita. ».

«Manca una politica integrata, coerente e partecipativa, che dovrebbe valorizzare le varietà locali, la loro conservazione, riproduzione e vendita»

Maria Carrascosa

 

Uno spazio limitato che consente, comunque, agli agricoltori europei che lo desiderano di operare e far crescere diverse iniziative anche per dimostrare alle istituzioni europee il valore dell’agrobiodiversità in campo. Uno spazio che in Africa è molto più difficile intravvedere nelle leggi in discussione proprio in questo periodo.

Mariam Mayet è la fondatrice dell’African Centre for Biodiversity (ACBIO), in Sudafrica. Andiamo a trovarla nella sua casa di Johannesburg dove ci spiega appassionatamente le attività che con la sua associazione ha messo in piedi per la difesa del sistema informale di produzione e scambio delle sementi. Le leggi che regolano il sistema formale sono molto simili in Europa e in molti paesi africani, incluso il Sudafrica. Perché la legislazione europea ha fatto da stampo, da modello, per tutte le altre.

 

Il Sudafrica è uno dei pochi paesi africani ad aver aderito alla Convenzione internazionale sulla protezione delle varietà vegetali, la cosiddetta UPOV, approvandola nel 1981. ACBIO sostiene che un sistema di questo genere sia inadeguato soprattutto per i paesi poveri. È troppo centralizzato e non lascia sufficiente flessibilità per andare incontro ai reali bisogni della popolazione rurale dei vari paesi, soprattutto in quelli dove i contadini sono molto più numerosi che in Europa, spesso proprietari di appezzamenti più piccoli di un ettaro.

La razionalizzazione del sistema di certificazione dei semi è stato uno degli elementi alla base della nascita della South African National Seed Organization (SANSOR) nel 1989, un’associazione che accorpa molte delle grandi corporations. Wynand van der Walt, genetista e consulente di SANSOR, specializzato in biotecnologie e protezione dei diritti di proprietà intellettuale, ci spiega che anche in Sudafrica non è illegale per gli agricoltori conservare una parte dei loro semi. «Lo possono fare per quelle varietà che non sono protette da diritti di proprietà intellettuale» e quindi per quelle varietà che non rientrano nella Convenzione UPOV. «C’è una clausola che consente ai piccoli agricoltori di riutilizzare semi dal proprio raccolto per ripiantarli per un consumo personale, all’interno di certi limiti. Il problema commerciale riguarda le aziende che vogliono vendere sementi sul mercato ed è un problema che si sta discutendo tra agricoltori e aziende sementiere.»

«È importante che ci sia uno spazio libero per produrre e commercializzare anche sementi locali su piccola scala senza trovarsi vincolati dai lacci di una legislazione molto restrittiva» (Bela Bartha)

Ci sono diverse negoziazioni in atto in Sudafrica sull’aggiornamento del Plant Improvement Bill che rende sempre più restrittive le pratiche per la selezione, miglioramento e commercializzazione delle sementi con un rafforzamento ulteriore della proprietà intellettuale di chi seleziona e mette in commercio nuove varietà. Sempre che non venga modificata nel corso del proprio iter, la bozza di legge che ci ha mostrato Sean Freeman nel suo ufficio prevedrebbe un’esenzione per aziende come la sua. Una fonte attiva nelle istituzioni coinvolte nel processo legislativo sudafricano, che chiede di restare anonima, ci conferma che l’esenzione cui fa riferimento Freeman esisterebbe e che è espressamente riferita alla possibilità di produrre e vendere piccole quantità di sementi non registrate che siano a impollinazione aperta, tradizionali e locali.

Una esenzione specifica e ben definita di questo tipo è proprio quello cui fanno riferimento anche molte associazioni europee, come la già citata Red de Semillas. Bela Bartha, biologo e direttore dell’associazione svizzera Pro Specie Rara, una ONG che da 25 anni lavora per promuovere il consumo di prodotti locali anche all’interno di negozi e supermercati nazionali, ha un approccio molto pragmatico alla questione «Il nostro obiettivo è ottenere uno spazio libero, una esenzione fino a determinati volumi di vendita. Non siamo contrari al registro delle varietà commerciali. Ma è importante che ci sia uno spazio libero per produrre e commercializzare anche sementi locali su piccola scala senza trovarsi vincolati dai lacci di una legislazione molto restrittiva.» Bartha va oltre e ritiene importante trovare anche spazi di collaborazione con le ditte sementiere. «Lo scambio di pratiche tra noi, con le nostre collezioni di varietà locali non registrate, e alcune di queste aziende storiche, che mantengono collezioni raccolte da decenni e molta competenza, potrebbe essere di mutuo beneficio. Ma per questo abbiamo bisogno di una nicchia nella quale lo scambio e la commercializzazione siano possibili senza restrizioni.»

 

Una storia in tre capitoli

Un progetto che attraversa diversi paesi e due continenti, Europa e Africa, per raccontare 20 anni di concentrazioni, compravendite e fusioni tra aziende nel mercato dei semi. Per ragionare insieme sulle implicazioni e i possibili scenari futuri, attraverso dati, voci, volti e storie.

 

CREDITI

SEEDcontrol è un progetto nato dalla partnership tra formicablu, agenzia di comunicazione scientifica italiana, e Oxpeckers, agenzia di giornalismo investigativo ambientale sudafricana. In particolare, il progetto nasce da un’idea di Elisabetta Tola e di Fiona Macleod.

 

Ricerca e analisi dei materiali e scrittura testi:

Elisabetta Tola e Marco Boscolo (formicablu), Michelle Nel (Oxpeckers)

Riprese e interviste a cura di:

Marco Boscolo, Elisabetta Tola, Francesca Conti (formicablu)

Post-produzione:

Marco Boscolo, Giulia Rocco

Musiche:

Fantasy by Tonality Star - freemusicarchive.org

Visual storytelling e Data visualization:

Matteo Moretti

Sviluppo visualizzazione dinamica dati:

Riccardo Scalco

Traduzioni:

Elisabetta Tola, Marco Boscolo

Raccolta e verifica dati:

Phil Howard, Michigan State University
Marco Boscolo, Elisabetta Tola

Coordinamento esecutivo:

Elisabetta Tola, Fiona Macleod

Coordinamento amministrativo:

Francesca Conti, Fiona Macleod

SEEDcontrol è stato realizzato grazie a "The Innovation in Development Reporting Grant Programme" dello European Journalism Center (EJC) - journalismgrants.org e al co-finanziamento di formicablu srl.

Ringraziamenti:

Riccardo Bocci, Salvatore Ceccarelli e la Rete Semi Rurali
Red de Semillas
John Nzira
Teresa Piras e la rete sarda Domusamigas